domenica 23 novembre 2008


Varese – Venerdì 14 novembre è stato lanciata da Cape Canaveral la navicella Endeavour per la ristrutturazione della stazione spaziale internazionale Iss; lo shuttle aveva il compito di portare due vani letto, il primo refrigeratore della Stazione, attrezzature per l'attività fisica e, ultimo ma non meno importante visto il previsto allargamento dell'equipaggio da tre a sei, un secondo bagno.

Tuttavia, il problema più serio è rappresentato dalla riserva di acqua, che finora era garantita dall’azione degli Shuttle; ma, con l'aumento del personale e il vicino pensionamento delle navette spaziali (previsto per il 2010), bisogna assicurare agli astronauti un altro sistema per poter avere sempre l'acqua a disposizione senza interruzioni di alcun genere.

"Non possiamo portare l'acqua in continuazione per un equipaggio di sei persone", ha detto Ron Spencer, responsabile dei voli alla stazione spaziale della Nasa. "Riciclare è indispensabile"

Proprio per questa ragione, l'Endeavour sta portando alla Iss anche una costosa attrezzatura (la sua realizzazione ha richiesto 250 milioni di dollari) che servirà per ottenere l'acqua ricavandola dall'umidità e dall'urina degli astronauti stessi: l’obiettivo finale di questo macchinario è quello di riciclare il 92% dei liquidi per produrre fino a 23 litri d'acqua al giorno.

Stando ai test effettuati sulla Terra, l'acqua ricavata dall'urina è persino più pura di quella che si trova allo stato naturale ed è buona; solo qualcuno ha notato un leggero retrogusto di iodio, peraltro non fastidioso.

I progettisti danno infinite rassicurazioni sul perfetto funzionamento dello strumento, comunque l'apparecchiatura non entrerà subito in funzione: prima bisognerà accertarsi che ogni cosa vada per il verso giusto anche in un ambiente a gravità zero.

Non sarebbe affatto bello prendere un bicchiere d’acqua, portarselo alle labbra e scoprire di stare bevendo “pipì”!

giovedì 13 novembre 2008


Varese – Lunedì 10 ottobre, si è svolto all’Istituto superiore di sanità di Roma (Viale Regina Elena, 299) il Convegno “Le 24 ore del paziente parkinsoniano tra difficoltà e compenso funzionale”, organizzato dall’Associazione Azione Parkinson con il patrocinio del Consiglio nazionale delle ricerche, in cui si è discusso di quella terribile piaga che è il morbo di Parkinson e dei disagi che esso comporta.

Le informazioni divulgate al convegno sono a dir poco scioccanti. Aumenta il numero di persone coinvolte e diminuisce l’età di esordio della malattia: un malato su 4 ha meno di 50 anni e peggiora la percezione della qualità della vita; il 75% dei malati gestisce la propria esistenza in relazione alla terapia da seguire, più della metà ha problemi a lavarsi e vestirsi e quasi il 50% ha difficoltà a parlare e a organizzarsi autonomamente.

Stefano Ruggieri, professore di neurologia all’università La Sapienza di Roma, asserisce: “Diversi studi dimostrano che i fattori di maggiore impatto sulla qualità della vita dei pazienti sono costituiti dalla depressione e dalla mancanza di autonomia dovuta alla malattia, e in parte alla terapia quando non riesce a raggiungere un miglioramento stabile, privo di effetti collaterali motori come le discinesie - movimenti involontari”, quindi l’obiettivo da raggiungere è quello di migliorare la qualità della vita di queste persone usando anche metodologie non farmacologiche: una soluzione, seppur parziale, potrebbe essere individuata nella domotica.

La Domotica è quella disciplina che mira a rendere più autonoma possibile la vita domestica degli individui con handicap di qualsiasi tipo ad esempio riconoscimento vocale utilizzato per spegnere o accendere elettrodomestici.

Francesca De Pandis, primario dell’Istituto S. Raffaele di Cassino, ha spiegato come “al paziente parkinsoniano oggi la domotica offre una concreta possibilità di migliorare la sua autonomia. Le attuali tecnologie di comunicazione e di tecniche avanzate per lo studio delle abilità motorie, in un progetto multidisciplinare (medici, bioingegneri, informatici, elettronici, terapisti occupazionali) possono tentare di superare tutte – o quasi tutte - le barriere”.

Il progetto presentato durante il corso del Convegno prevede un corretto monitoraggio delle condizioni cliniche, la corretta terapia e l’assistenza programmata e in urgenza a circa 50 pazienti affetti da malattia di Parkinson, infatti, come spiega Francesca De Pandis, “Pazienti affetti da Parkinson, soprattutto nelle fasi più avanzate, hanno bisogno di un monitoraggio delle condizioni motorie e cognitivo-comportamentali tali da richiedere frequenti verifiche ambulatoriali o in regime di ricovero”. Il sistema prevede uno o più server presso il reparto specialistico e telecamere a casa del paziente, il tutto collegato su linea ADSL a mezzo rete web. Il sistema è poi dotato di telesoccorso: l’utente/ paziente dispone di una piccola trasmittente con tre pulsanti diversamente colorati, alimentato solo dalla rete elettrica e alloggiabile in qualsiasi punto della casa.

Inoltre è previsto un dispenser automatico di compresse; la dottoressa De Pandis spiega: “Si tratta di un contenitore con all’interno 7 dispenser, uno per ogni giorno della settimana e tutti con un orario interno preprogrammato. Ogni comparto è associato ad un orario ed è governato da un microcontrollore che gestisce i tempi di apertura, l’accessibilità al prelievo delle compresse e gli avvisi ottici, acustici e vibratili. I dispenser presentano sei comparti, ciascuno in grado di contenere un massimo di quattro compresse con un led che lampeggerà simultaneamente all’avviso acustico e vibratile. Ogni comparto del dispenser sarà controllato da un led e solamente il comparto corrispondente al led lampeggiante, potrà essere aperto per il prelievo delle compresse”.

arlo Cannella professore di Scienza dell'Alimentazione dell‘università La Sapienza di Roma, sostiene: “Anche se i dati non sono univoci, l’assunzione di antiossidanti con l’alimentazione (in particolare vitamina E) sembra avere un ruolo protettivo nei confronti dell’insorgenza del morbo di Parkinson, forse anche nel consentire di ritardare di alcuni anni il ricorso alla somministrazione di levodopa. Come pure la riduzione calorica si è dimostrata efficace nel rallentare il deterioramento dei neuroni. Alcuni dati epidemiologici confermano, infatti, che individui con uno stile di vita caratterizzato da un’alimentazione parca, sia in termini calorici che di grassi, ed un elevato livello di attività fisica abbia un rischio ridotto di comparsa del morbo di Parkinson”.

I dati epidemiologici vedono un’elevata prevalenza del morbo di Parkinson in Europa ed Americhe ed una bassa prevalenza nelle regioni subsahariane e nelle popolazioni rurali cinesi e giapponesi. Ciò suggerisce un ruolo protettivo di modelli alimentari basati su un elevato apporto di prodotti d’origine vegetale e una riduzione dell’apporto di acidi grassi saturi d’origine animale, di colesterolo e dell’introito energetico complessivo.

Varese - Le cellule staminali sono quelle che possono dare origine a diversi tipi cellulari (dalle cellule somatiche ai neuroni) e si dividono in staminali embrionali e staminali da adulti; le prime sono totipotenti, ossia in grado di differenziarsi in qualsiasi tessuto, mentre le seconde sono pluripotenti (originano molti tipi cellulari, ma non tutti), o multipotenti (un po’ meno di pluripotenti).

Durante l’estrazione delle cellule staminali dall’embrione, questo corpuscolo viene distrutto, e questo provoca le continue proteste degli enti religiosi e di chi sostiene che l’embrione sia da considerarsi un individuo, quindi avente dei diritti.

Una ricerca, condotta dall'Istituto Telethon di Napoli, e pubblicata sulla prestigiosa rivista Stem Cell, ha scoperto un nuovo meccanismo per riprogrammare le cellule adulte e renderle simili a quelle staminali embrionali: la chiave sta nella proteina denominata Wnt.

Lo studio ha riguardato diversi tipi di cellule adulte e si è osservato che esse, fuse con quelle staminali embrionali in presenza della proteina Wnt, hanno perso le loro caratteristiche diventando cellule pluripotenti.

Questo non risolve i problemi etici derivati dall’utilizzo delle cellule staminali embrionali, in quanto questi piccoli ammassi di cellule vengono comunque distrutti, ma dimostra che la ricerca sulle staminali può portare a risultati molto positivi, e che anzi è auspicabile un incremento degli sforzi in questo senso.

sabato 1 novembre 2008


Varese – Il IV rapporto annuale “Bambini e telefoni cellulari: il nuovo cordone ombelicale”, curato dall’Università degli Studi La Sapienza di Roma e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e promosso dall’Osservatorio Sull’immagine Dei Minori, fondato nel 2004 dal marchio di moda per bambini Pinco Pallino rivela dei dati alquanto inquietanti sul rapporto tra bambini, genitori e telefonini cellulari.

Papà e mamma regalano il primo telefonino ai figli a 8 anni, e a 12 anni i giovanissimi sono ormai arrivati al terzo modello di cellulare; in un terzo dei casi il regalo è accettato controvoglia dai piccoli, ma i genitori quasi glielo impongono, tanto che gli psicologi parlano di epidemia del nuovo millennio. Un'epidemia che contagia le famiglie e in particolare le madri: il telemothering o teleparantage, ossia la tendenza a voler controllare i figli 24 ore su 24, fin dalla scuola elementare.

I curatori dello studio affermano che il 90% dei bambini di terza media possiede già il telefonino, non tanto per la voglia di essere alla moda, quanto per un’esplicita esigenza dei genitori, che, in questo modo, cullano l’illusione di poter meglio controllare o gestire i figli: una sorta di cordone ombelicale tecnologico che si impone spesso come condizione per le prime concessioni di autonomia, come ad esempio le prime uscite o la prima gita scolastica.

Oltretutto, niente è più pericoloso di un cellulare in mano a un bambino, soprattutto perché i genitori “moderni” non si limitano a regalarne uno con funzioni di base, ma capita spesso che ragazzini di 12 anni si ritrovino già in possesso dell'ultimo ritrovato tecnologico disponibile sul mercato; succede così che i più piccoli (spesso molto più esperti dei genitori in fatto di tecnologie) possono connettersi a internet e imbattersi in contenuti pericolosi, o anche essere adescati da adulti che chiedono incontri, foto pornografiche, o prestazioni sessuali in cambio di ricariche telefoniche, senza contare poi i pericoli che potrebbero derivare dall’esposizione alle onde elettromagnetiche a partire da un’età così giovane.

Secondo i risultati delle due ricerche commissionate dall’Osservatorio (quella della Sapienza focalizzata su bambini di seconda, quarta e quinta elementare e di prima e terza media e quella della Cattolica di Milano concentrata invece sugli adolescenti al secondo e al quarto anno delle scuole superiori), è il rapporto tra genitori e cellulare del figlio a essere spesso malato.

Anna Maria Ajello, ordinario di Psicologia dell'educazione a La Sapienza, riferisce: “Il 32% dei bimbi delle scuole elementari e medie che abbiamo intervistato ritiene che alla sua età il telefonino non sia utile questo dimostra quanto l'uso del cellulare nei più piccoli sia in prevalenza indotto dai genitori. Mamma e papà tendono così a considerarsi i referenti assoluti dell'educazione dei propri figli anche se, come in gita scolastica, sono accompagnati da altri adulti”.

Pier Cesare Rivoltella, professore ordinario di Tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento, spiega che tra gli adolescenti cala la percentuale di chi ritiene il cellulare un impiccio, anzi, per la maggior parte asseriscono: “non averlo sarebbe un dramma, inoltre il professor Rivoltella sottolinea che negli adolescenti il cellulare rappresenta un importante strumento per l’interazione sociale e la pianificazione del tempo libero oltre che un moderno diario per archiviare pensieri, messaggi, foto e video. Rivoltella aggiunge però che il cellulare, soprattutto quando i figli sono ormai vicini all’adolescenza, è anche un’arma a doppio taglio per l’ansia dei genitori, poiché col telefonino in tasca i giovani si sentono paradossalmente più liberi, per esempio di fare tardi la sera.

Sempre dalla ricerca emerge che solo nel 20% dei casi i ragazzi pagano di tasca propria, o meglio con la paghetta dei genitori, la ricarica; un’abitudine, precisa Anna Maria Ajello, che certo non aiuta a responsabilizzare i giovani e che conferma l'effetto ansiolitico dei telefonini sui genitori.

A questo punto una riflessione sorge spontanea: è vero che il telefono cellulare è molto utile e a volte può addirittura salvare la vita, però questo strumento tecnologico non deve assumere più importanza di quella che ha realmente; infondo se non ci fosse chi lo usa, il telefonino non avrebbe nessun motivo di esistere.
Varese - Una ricerca dell'Istituto di BioFisica del Cnr di Pisa, pubblicata sulla rivista Febs Letters, ha conseguito una scoperta che potenzialmente potrebbe migliorare le sorti di migliaia di persone.

Il Centro nazionale di ricerca ha mostrato che l'Iperico, ossia un prodotto officinale tratto da una pianta, potrebbe riuscire a bloccare la formazione delle placche che intasano le cellule nervose, tipiche del morbo di Alzheimer nelle fasi precoci della malattia.

Il morbo di Alzheimer è una demenza progressiva invalidante ad esordio prevalentemente senile (oltre i 60 anni, ma può manifestarsi anche in epoca presenile) e prognosi infausta. La malattia si manifesta inizialmente come demenza caratterizzata da amnesia progressiva e altri deficit cognitivi; il deficit di memoria è prima circoscritto a sporadici episodi nella vita quotidiana e della memoria prospettica (che riguarda l'organizzazione del futuro prossimo, come ricordarsi di andare a un appuntamento); poi mano a mano il deficit aumenta. Ai deficit cognitivi si aggiungono infine ulteriori complicanze che portano a una compromissione insanabile della salute. Una persona colpita dal morbo può vivere anche una decina di anni dopo la diagnosi conclamata di malattia.

Finora l’Ipertrico è stato utilizzato contro la depressione e l'ansia, ma ora si e' visto che riesce a bloccare la formazione delle placche che distruggono le cellule nervose, prolungando così il tempo concesso da “madre natura” a chi scopre di essere affetto da questa terribile malattia degenerativa che è l’Alzheimer.
Varese - Una ricerca dell'Istituto di BioFisica del Cnr di Pisa, pubblicata sulla rivista Febs Letters, ha conseguito una scoperta che potenzialmente potrebbe migliorare le sorti di migliaia di persone.

Il Centro nazionale di ricerca ha mostrato che l'Iperico, ossia un prodotto officinale tratto da una pianta, potrebbe riuscire a bloccare la formazione delle placche che intasano le cellule nervose, tipiche del morbo di Alzheimer nelle fasi precoci della malattia.

Il morbo di Alzheimer è una demenza progressiva invalidante ad esordio prevalentemente senile (oltre i 60 anni, ma può manifestarsi anche in epoca presenile) e prognosi infausta. La malattia si manifesta inizialmente come demenza caratterizzata da amnesia progressiva e altri deficit cognitivi; il deficit di memoria è prima circoscritto a sporadici episodi nella vita quotidiana e della memoria prospettica (che riguarda l'organizzazione del futuro prossimo, come ricordarsi di andare a un appuntamento); poi mano a mano il deficit aumenta. Ai deficit cognitivi si aggiungono infine ulteriori complicanze che portano a una compromissione insanabile della salute. Una persona colpita dal morbo può vivere anche una decina di anni dopo la diagnosi conclamata di malattia.

Finora l’Ipertrico è stato utilizzato contro la depressione e l'ansia, ma ora si e' visto che riesce a bloccare la formazione delle placche che distruggono le cellule nervose, prolungando così il tempo concesso da “madre natura” a chi scopre di essere affetto da questa terribile malattia degenerativa che è l’Alzheimer.