mercoledì 25 febbraio 2009


Varese – Uno dei più gravi problemi legati all’ambiente che affliggono il nostro splendido pianeta è quello del riscaldamento globale del clima; l’umanità sta cercando in qualche modo – non sempre efficace – di porre un freno a questo cataclisma; ebbene ora uno strumento potrebbe fornirci dati in grado di agevolare questo compito.

Dalla base californiana di Vandenberg, sta per effettuarsi il lancio di un satellite dal nome stravagante: Oco, acronimo di Orbiting Carbon Observatory, dedicato al monitoraggio atmosferico dell’anidride carbonica. Oco è la nuova missione geo-orbitante nell’ambito del programma Nasa Earth System Science Pathfinder Program e fornirà per la prima volta una mappa particolareggiata delle fonti naturali e artificiali di anidride carbonica - co2- e dei luoghi in cui viene rilasciata dall’atmosfera e conservata.

I dati che il satellite metterà a disposizione degli scienziati renderanno più precise le previsioni delle future variazioni nella presenza di co2 nell’atmosfera e i mutamenti nella distribuzione di questo gas serra, inoltre, le informazioni provenienti dal satellite – per compiere un giro completo attorno alla terra Oco impiegherà 16 giorni, nel corso dei quali effettuerà circa 8 milioni di misurazioni - consentiranno di ottenere un maggior numero di indizi sugli effetti che queste variazioni avranno sul clima terrestre.

Il progetto della Nasa, costato complessivamente 278 milioni di dollari, non è il primo dedicato esclusivamente allo studio via satellite del riscaldamento climatico: il mese scorso il Giappone ha lanciato Gosat - Greenhouse Gases Observing Satellite -, impegnato nel monitoraggio dei gas serra.

La Terra è un luogo meraviglioso ed è nostro preciso dovere quello di utilizzare qualsiasi risorsa affinché rimanga tale: sarebbe veramente un “delitto” se riuscissimo a rovinare anche questo.

venerdì 20 febbraio 2009


Varese – La questione sull’utilizzo di cellule staminali embrionali per la ricerca, da molti anni, rappresenta un grande problema etico: da una parte c’è chi, come gli esponenti della Chiesa, ritiene che l’embrione sia da considerarsi un individuo a tutti gli effetti, dall’altra c’è chi, come gran parte della comunità scientifica, sostiene che queste cellule abbiano potenzialità che le altre staminali non hanno.

In un’intervista sostenuta al programma domenicale della Fox News, il consigliere della Casa Bianca David Axelrod ha affermato che il presidente Barack Obama ripristinerà i finanziamenti statali alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, divieto imposto nel 2001 dal suo predecessore, George W. Bush, aggiungendo: "penso che faremo presto qualcosa su questo, il presidente lo sta considerando proprio ora".

Le cellule staminali embrionali sono totipotenti, cioè possono dare origine a qualsiasi tipo cellulare – cute, tessuto connettivo, cellule nervose... -, diversamente dalle staminali da adulto, che sono pluripotenti, ossia possono specializzarsi in tutti i tipi di cellule che troviamo in un individuo adulto ma non in cellule che compongono i tessuti extra-embrionali (quei tessuti che si trovano al di fuori dell'embrione prorpiamente detto ma che sono molto importanti per la sua sopravvivenza come l'amnios, il corion, il sacco vitellino, l'allantoide…), o multipotenti, sono in grado di specializzarsi unicamente in alcuni tipi di cellule.

Dalla ricerca sulle cellule staminali embrionali gli scienziati attendono importanti scoperte per la cura del Parkinson, del diabete, delle lesioni spinali e di molte altre patologie che affliggono il genere umano.

domenica 8 febbraio 2009


Varese – esiste un particolare tipo di ecosistema, non molto conosciuto, che ricopre un ruolo di primaria importanza per l’equilibrio ecologico del pianeta, le zone umide: stagni, laghi, paludi, ma anche cave di torba, ghiaia o di argilla dismesse.

Il Wwf, in occasione della Giornata Mondiale delle Zone Umide, afferma che questo genere di habitat regola e mitiga gli impatti dei cambiamenti climatici, immagazzinando il 35% del carbonio terrestre globale.

Le zone umide occupano soltanto il 6% della superficie terrestre e quelle che contengono torba rappresentano il più efficiente “magazzino” di carbonio tra tutti gli ecosistemi: ne trattengono il doppio di quello presente nell’intera biomassa forestale del mondo e per molto tempo, al contrario delle foreste; inoltre le zone umide sono luoghi preziosi per attività vitali come l’agricoltura e la pesca - producono il 24% del cibo del mondo - e sempre di più anche per il turismo e per le altre attività legate al tempo libero, sono infine ottime palestre per l’educazione e la divulgazione ambientale; per queste ragioni la loro distruzione comporterebbe conseguenze catastrofiche.

Secondo le ultime stime, infatti, se questi ambienti fossero bonificati, sarebbero rilasciati circa 771 miliardi di tonnellate di gas serra (soprattutto CO2 e metano) - una quantità insomma pari a quella attualmente in atmosfera.

Le zone umide - avverte il Wwf - stanno scomparendo dal pianeta. Nell’ultimo secolo circa il 60% del patrimonio mondiale e ben il 90% di quello europeo è andato distrutto. Le cause sono tante: il 26% delle zone paludose sono state prosciugate per far posto all’agricoltura o per dare spazio allo sviluppo urbano; l’inquinamento, la costruzione di dighe, il prelievo non regolamentato da sorgenti e falde, lo sfruttamento delle risorse, ha fatto il resto.

L’Italia ha perso una superficie immensa di zone umide: dei circa 3 milioni di ettari originari, all’inizio del XX secolo ne restavano 1.300.000, fino a precipitare ai 300.000 registrati nel 1991. Oggi ne sopravvivono appena lo 0,2%, tra aree interne e marittime.