lunedì 16 marzo 2009


Varese – L’inquinamento ambientale dovuto alla produzione di energia da combustibile fossile, è un grosso problema; una possibile soluzione a questa piaga potrebbe essere rappresentata della cosiddette fonti alternative.

Un’articolo pubblicato martedì 10 marzo sul quotidiano iberico El Pais afferma che la produzione di energia in Spagna è per un terzo tratta da fonti rinnovabili. Con questo 30% di elettricità consumata, gli spagnoli hanno raggiunto l’obiettivo deciso nel 2001 dalla Ue per il 2010, che, secondo i dati della Rete Elettrica, soltanto un anno fa pareva impossibile.

Uno dei tanti fattori che hanno aumentato l’importanza delle rinnovabili è stato il calo della domanda generale di energia dovuta alla crisi economica: questa di conseguenza ha consentito di aumentare il rapporto percentuale della potenza installata nell’eolico nell’ultimo decennio, rispetto alle altre fonti energetiche. Inoltre va considerato il grande aumento delle precipitazioni fra gennaio e marzo che hanno fatto aumentare di ben il 126,4% la produzione dell’energia idroelettrica, in confronto con il medesimo periodo del 2008, e secondo i dati della Rete Elettrica, è prevedibile che in primavera si mantenga questo standard se continuerà a piovere, anche se con una fisiologica diminuzione in estate.

Secondo gli studi di di Heikki Mesa, responsabile del cambi climatico del Wwf Spagna, l’utilizzo del fotovoltaico nella produzione di energia elettrica sta cominciando ad essere significativo, circa il 5% del totale.

Anche se l’incremento di fonti rinnovabili è un dato molto positivo, va ricordato che è tanta anche l’energia pulita che va perduta per sovraccarico, dato che la rete elettrica iberica ha un sistema che consente di controllare costantemente la produzione e ordinare la disattivazione dei dispositivi eolici in caso di sovrapproduzione:questo ad esempio è successo il novembre 2008 quando, in presenza di una forte perturbazione atmosferica, Rete Elettrica disattivò ben il 37% degli impianti eolici, non potendo assorbire tutta l’energia prodotta.

Varese – Da un po’ di anni a questa parte, per le balene il rischio maggiormente grande che corrono non è più solo quello di venire catturate da una baleniera con la scusa della ricerca scientifica, bensì di rimanere arenate su qualche spiaggia.

Sull’isola-stato della Tasmania , a sud dell’Australia, la sera di domenica primo marzo si sono piaggiate circa 200 piccole balene del genere ''globicefalo'' – cetacei che raggiungono i 5/6 metri di lunghezza per 2 tonnellate di peso -, delle quali soltanto quindici sono state riportate al largo. Altre 130 balene erano già morte a mezzogiorno dopo essersi arenate sulle coste dell'isola.

In gennaio erano morti 48 capodogli e in novembre 150 balene pilota; con quello di domenica siamo arrivati al quarto spiaggiamento di massa in Tasmania, per un totale in tre mesi di 400 cetacei.

Le cause che determinano lo spiaggiamento di animali vivi sono al centro di un dibattito aperto che dura ininterrottamente ormai da molti decenni; negli ultimi anni si è cominciato a pensare che dietro questo fenomeno ci siano gli impulsi sonori utilizzati dai radar delle navi militari, o l’inquinamento marino.

Dobbiamo assolutamente scoprire cosa spinge i cetacei a un “suicidio di massa”, in modo che anche i nostri figli e nipoti possano vedere questi splendidi animali nel loro habitat naturale e non solo sui libri di storia.