lunedì 27 aprile 2009


Varese – Uno studio di Phil Edwards e Ian Roberts, scienziati della London School of Hygiene & Tropical Medicine pubblicato sull'International Journal of Epidemiology, sostiene che dimagrire, non solo fa bene alla salute, ma aiuta a ridurre le emissioni di gas serra.

Infatti per cercare di migliorare la propria silouette, la gente tende a mangiare meno, tagliando così le emissioni causate dalla produzione di cibo, una delle principali fonti di inquinamento; inoltre provoca la diminuzione dell’utilizzo dell'automobile che, secondo lo studio, risulterebbe proporzionale ai chili di troppo.

Gli autori della ricerca concludono lo studio affermando: "Un miliardo di persone magre emetterebbe ogni anno un miliardo di tonnellate di CO2 in meno rispetto allo stesso numero di persone grasse”.

D’ora in poi, quando sentiremo parlare dei problemi relativi all’ambiente, non potremo più ribattere dicendo che tanto noi, nel nostro piccolo, non possiamo farci niente, infatti, cercando di dimagrire, ognuno di noi compie un passo in avanti, seppur irrisorio, verso la salvezza ecologica del pianeta.

martedì 14 aprile 2009


Varese – Da sempre una delle grandi domande che assillano l’umanità è: “com’è possibile che sulla Terra si siano create le condizioni adatte alla vita?”Be’, forse oggi possiamo dare una risposta a questo annoso quesito.

Dominic Papineau del Carnegie Institution's Geophysical Laboratory ha fatto una scoperta che sembra fare finalmente luce sulle condizioni che hanno permesso la vita sulla terra.

Sul nostro pianeta, inizialmente privo delle condizioni atmosferiche idonee alla respirazione, la scintilla che ha fatto scoccare la vita è arrivata circa 2,4 miliardi di anni fa, quando si registrò una drastica riduzione delle concentrazioni di nichel - metallo bianco argenteo - nelle acque, la quale permise lo sviluppo di batteri e di alghe foto sintetiche, aprendo la strada alla comparsa di ossigeno.

martedì 7 aprile 2009


Varese – Una ricerca eseguita da un équipe di ricercatori italiani esperti sul ritmo circadiano, cioè il ciclo sonno-veglia, pubblicata sulla prestigiosa rivista americana ‘Science’, ha rilevato che non dormendo, nel cervello si accumulano proteine in eccesso sui punti di contatto tra neuroni, ossia le sinapsi, appesantendone così il funzionamento.

Questa scoperta rappresenta una prova diretta della teoria secondo cui durante il sonno il cervello fa ordine dentro di sé, selezionando le informazioni accumulate il giorno precedente ed eliminando quelle superflue.

Varese – Il problema dell’inquinamento delle acque è molto sentito; esperti di tutto il mondo stanno lavorando per trovare una soluzione che risolva questa piaga, e forse vi si stanno avvicinando.

In un progetto portato avanti dai ricercatori dell´Università dell´Essex (Gb) costato 2,5 milioni di sterline finanziato dall´Unione Europea nell’ambito di un programma per lo sviluppo di nuovi metodi di monitoraggio delle acque, sono stati creati dei ‘robot’ che sembrano normalissimi pesci, forse solo un po’ più robusti, i quali forniranno preziosi dati sulla presenza o meno di inquietanti.

Lunghi circa 50 cm e alti 15, i pesci robotici si muovono in branchi da cinque senza bisogno di essere telecomandati grazie a un motore ad autonomia giornaliera in grado di replicare il movimento natatorio dei pesci, il che, oltre al miglior rendimento energetico, permette ai pesci robot di muoversi in acqua senza spaventare il resto della fauna ittica.

Rory Doyle, ricercatore presso Bmt Group, società che ha collaborato con la Essex University per lo sviluppo tecnologico dei robot ha commentato: “abbiamo utilizzato un design creato da un’evoluzione di centinaia di milioni di anni e che è incredibilmente efficiente dal punto di vista energetico”.

Il rilevamento degli inquinanti è affidato a una serie di sensori. Quando viene rilevata la presenza di inquinamento, ogni pesce meccanico è in grado di avvisare il resto del branco affinché converga nella zona per raccogliere dati; in questo modo sarà possibile avere un’analisi istantanea a 3 dimensioni in grado di fornire maggiori informazioni sulle aree inquinate.

I primi cyber-pesci potrebbero essere testati nel Tamigi – fiume altamente inquinato. Chissà, forse tra qualche anno, alla vista di un banco di pesci che nuota felice tra le alghe di un mare cristallino, dovremo domandarci se si tratta di forme di vita naturali o artificiali.

Varese – A poche ore dall'arrivo dello space shuttle Discovery, che deve portare alla Stazione internazionale (Iss) l’ultimo pezzo necessario per la costruzione dei pannelli solari, che, producendo più energia, permetteranno la presenza in orbita del doppio degli abitanti rispetto a quelli attuali, la Stazione è di nuovo a rischio collisione con uno dei tanti detriti in orbita attorno alla Terra - un frammento di un satellite russo che dovrebbe passare nelle prime ore di martedì a una distanza non superiore agli 800 metri.

Se la Iss dovesse essere costretta ad alterare la sua orbita anche la "Discovery" dovrà aggiustare la propria rotta per trovarsi al rendezvous per l'attracco, previsto per martedì.

Già la scorsa settimana l'equipaggio era stato costretto a prendere posto per una decina di minuti nella capsula di emergenza a causa di un altro incontro troppo ravvicinato; adesso la .

La cosiddetta "spazzatura spaziale" sta diventando un problema sempre più serio: vi sono oltre 19mila oggetti in orbita terrestre, di cui appena 900 satelliti sono ancora integri, se non del tutto funzionanti. Secondo gli specialisti le possibili strategie sono due: il recupero della maggior massa possibile di detriti e frammenti oppure una condivisione delle informazioni sulla loro localizzazione, in modo da minimizzare la possibilità di collisioni future.

La prima, presenta il problema pratico di come far rientrare nell'atmosfera i detriti, è costosa e inoltre non è sicura: durante il recupero i pezzi più grandi potrebbero infatti frammentarsi ulteriormente causando maggiori problemi - anche un pezzo di metallo di un centimetro di diametro è potenzialmente distruttivo date le elevate velocità orbitali.

La seconda dipende dalla buona volontà dei singoli Paesi di rivelare l'esatto posizionamento dei propri satelliti - anche militari - e ogni altro dato riguardante eventuali frammenti: in questo senso l'Agenzia Sapziale Europea ha lanciato il programma Space Situational Awareness, che mira alla sorveglianza della zona interessata; secondo gli esperti servirebbe tuttavia un sistema globale integrato, proposta su cui fino ad ora solo Stati Uniti e Francia hanno espresso un qualche interesse, senza che nessun Paese abbia però manifestato un sostegno ufficiale all'iniziativa.